In molti casi la cattività (ambiente protetto) è l’unica soluzione per animali che non possono essere rilasciati e che provengono da circhi o da privati che li tenevano come animali domestici. Gli zoo, a volte, sono davvero l’unica e l’ultima spiaggia per animali senza speranza.
Dentro gli zoo, però ci sono zoo validi e altri meno. Una cosa importantissima è l’arricchimento ambientale, come il poter permettere all’animale di fuggire dallo sguardo e dal disturbo o interazione con i visitatori.
L’arricchimento ambientale in ambito etologico è definito come l’insieme delle pratiche ed attivitá volte a migliorare la gestione di un animale (selvatico o domestico).
Nel caso specifico delle specie selvatiche che vengono tenute in cattivitá, il principio alla base dell’arricchimento ambientale non deve essere altro che il tentativo di garantire all’animale una vita che sia il piú possibile vicina a quella che avrebbe avuto in natura. In qualche modo, infatti, dovremmo restituire all’individuo quello che gli abbiamo tolto tenendolo in ambiente di cattivitá. Niente di piú e niente di meno.
In questa ottica, quindi, non ha alcun senso giustificare le interazioni o pseudo-relazioni tra esseri umani e animali selvatici, semplicemente perché in Natura questo non avviene e non fa parte dell’etogramma specie-specifico di questi animali.
Le famose interazioni multi-specie sono sicumente presenti in ambiente naturale e sono un elemento da tenere in forte considerazione nell’ambito dell’arricchimento ambientale.
Nonostante ciò, categorizzare le interazioni umano-animale selvatico come un qualcosa di naturale e dovuto, appare piuttosto grossolano, antropocentrico e forzato. Alcune ricerche scientifiche (poche, rispetto a quelle che sostengono la tesi opposta) cercano di dimostrare che, in casi piuttosto limitati, l’interazione umano-animale selvatico sia benefica per entrambi. Ma come si può pensare che questo sia eticamente e scientificamente accettabile? Fin dove arriva la nostra smania antropocentrica di “mettere le mani” su ogni cosa che ci circonda? E soprattutto, siamo davvero in grado di percepire cosa sia realmente benefico per un animale selvatico, o crediamo solo a quello che ci fa comodo? Come può un’attività innaturale, essere sana per l’animale?
Ad ogni modo, la gestione di animali appartenenti a specie selvatiche che sono nati in cattività oppure che sono stati addomesticati nel corso della loro vita, appare piuttosto problematica. Spesso, in strutture come zoo, centri di recupero o santuari si trovano animali come un passato da pet, oppure individui che venivano sfruttati come attrazioni turistiche o di spettacolo.
Animali che sono stati privati della loro selvaticitá, i cui comportamenti sono stati alterati e la cui vita non potrá mai essere come quella di un loro conspecifico a vita naturale. In questi casi, data la loro innaturale ontogenesi al fianco dell’Uomo, bisogna tener conto che un totale annullamento della componente umana potrebbe essere piuttosto dannoso dal punto di vista sociale e comportamentale. Si tratta di animali, il piú delle volte, che sono stati imprintati sull’Uomo e che vedono gli umani come loro conspecifici o, peggio, come loro partner. In questi casi, quindi, uno zookeeper attento al benessere animale dovrá cercare di mantenere un buon rapporto “relazionale” con l’animale, trovando il giusto equilibrio nel rapporto con esso, senza eccedere nè da un lato e nè dall’altro.
Questo, chiaramente, non deve mai giustificare un abuso sull’animale o un “uso” per fini economici o turistici. Semplicemente, si tratta di animali che non possono essere rilasciati in natura perchè non sopravvivrebbero e che sono abituati ad una vita piuttosto umanizzata. Solo in questo senso, quindi, per fini alimentari e gestionali (bisogna abituare l’animale a fidarsi degli zookeepers, e quindi degli umani, affinché non si stressino eccessivamente durante le cure o i controlli veterinari) può essere considerata la componente umana nell’ambito dell’arricchimento ambientale per specie selvatiche tenute in cattivitá.
Il discorso è chiaramente diverso per le specie domestiche che, invece, possiedono fin dalla nascita (per motivi filogenetici) un’indole adatta alla vita al fianco dell’Uomo.
Noi, come Associazione e come etologi, diffidiamo chiunque pensi di tenere un animale selvatico come pet o di addomesticarlo per utilizzarlo in qualsiasi immotivata attivitá umana. Se amate la Natura, lasciatela al suo posto.
Nessun arricchimento ambientale sostituirà mai la Natura vera, nessun arricchimento sarà mai abbastanza.
#IoRispettoIlSelvatico
Seguici sui socialBiologo Naturalista
Laurea Triennale in Scienze biologiche presso “Sapienza” Università di Roma e specializzazione con una Laurea Magistrale in Evoluzione del Comportamento Animale e dell’Uomo presso l’Università di Torino (votazione: 110 e lode). Dopo aver svolto uno stage formativo presso “Ecotoxicology and Animal Behavior Laboratory” (Iasi, Romania) ed essere stato guida naturalista e ricercatore presso “Monkeyland Primate Sanctuary” (Plettenberg Bay, Sudafrica), ha ricoperto il ruolo di Wildlife Manager presso “Kids Saving the Rainforest – Wildlife Sanctuary and Rescue Center” (Quepos, Costa Rica). Da settembre 2019 è socio della Società Italiana di Etologia. Dopo una recente collaborazione nell’ambito dell’educazione ambientale con il Parco fluviale Gesso e Stura, attualmente si occupa di ricerca e divulgazione scientifica presso l’Associazione ETICOSCIENZA. E’ autore del saggio “I segreti dell’immunità. Tutto ciò che possiamo imparare dagli animali su igiene e controllo delle infezioni” (Edizioni Lindau).
christianlenzi.eticoscienza@gmail.com